La Padania: spezziamo una lancia?

Un contributo di Paolo Tagliapietra sulla musica strumentale nella valle del Po

Si è recentemente affermato che le prove dell’esistenza della Padania stiano nell’omonimo formaggio Grana, prodotto caseario che possiede indubbie virtù sopraffine… ma – prescindendo dalle implicazioni politiche che oggi si vogliano attribuire, anche suo malgrado, al pregiato elaborato delle stalle locali – le glorie della regione possono essere cercate anche altrove.

In quest’area, come è noto, fiorì fin dal Quattrocento una galassia di Ducati, Stati, Signorie che intravvedevano nella coltivazione delle arti, e della musica in primis, grandi possibilità di accrescimento al loro prestigio, anche in senso politico.

Le Cappelle Musicali a Mantova, Milano, Ferrara e negli altri centri di potere della zona, si contendevano gli artisti più rinomati a livello europeo; la produzione musicale che ne scaturì costituisce a tutt’oggi un corpus di valore storico inestimabile sia nel campo della musica sacra che profana.

Pian piano fiorì un’arte organaria, ma soprattutto una scuola di liuteria che non è mai più stata uguagliata nella storia. In epoca barocca la supremazia del violino e della famiglia degli strumenti “da brazzo” fu all’origine di una vera e propria esplosione di questa arte.

L’epicentro di questo fenomeno era proprio la valle del Po.

I Musici si riunivano generalmente in corporazioni, gilde o compagnie per difendere i loro interessi o incrementare le loro attività. A partire dagli anni trenta del Seicento – sul piano della funzione sociale – si affermò una nuova figura professionale: il Maestro di Cappella. Questo tipo di musicista, che dirige la musica da chiesa, è spesso, fatto nuovo rispetto al passato, ma non necessariamente un virtuoso di strumenti ad arco.

L’attenzione del musicista è ora rivolta primariamente verso la composizione e non è più la musica che scaturisce direttamente dall’attività improvvisativa del suonare uno strumento. Da ciò derivano importanti conseguenze linguistiche. Musicisti come Maurizio Cazzati, Giovanni Battista Vitali, Giovanni Maria Bononcini – tutti attivi nella regione padana e in particolare a Bologna – traghettano l’arte della musica strumentale verso un maggiore equilibrio compositivo. Bandite o quasi le stravaganze ornamentali e le esplorazioni dei registri acuti estremi del violino, prerogative di compositori precedenti come Giovanni Battista Fontana, Dario Castello o Marco Uccellini, si cerca ora di dare armoniosità alla composizione attraverso una maggiore attenzione rivolta all’equilibrio delle parti, alla regolarità delle pulsazioni, alla struttura dei movimenti, al linguaggio armonico. Si prepara insomma il terreno al grande normalizzatore del linguaggio della musica strumentale che arriverà nella seconda metà del secolo: Arcangelo Corelli.

La Sonata per due violini e basso o “Trio sonata”, sia essa da camera (successione di danze) o da chiesa (i cui movimenti sono designati mediante indicazioni agogiche come “adagio”, ”allegro”, “presto” ecc.) rappresenta il terreno elettivo per questo tipo di sperimentazione, in quanto coniuga il gusto del dialogo melodico tra due strumenti (contrappunto) con l’uso di un linguaggio armonico sempre più funzionale ad affermare quel senso di unitarietà. Una forma che utilizza appieno l’inventiva melodica e il virtuosismo strumentale tratti, questi, squisitamente italici e li plasma poi secondo un’eleganza formale e strutturale che è tipica di tutta la grande arte italiana, non solo musicale, anche al di là della Padania.

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