Un profilo del compositore veneziano a cura di Marco Rosa Salva
Dario Castello, contemporaneo di Claudio Monteverdi – col quale lavorò a stretto contatto – è musicista oggi meno noto ma per nulla trascurabile.
Stando a quanto della sua opera è giunto fino a noi, egli compose, cosa assai inusuale per l’epoca, quasi esclusivamente musica strumentale. A parte un breve mottetto a voce sola col basso continuo, conservato in un’antologia di vari autori (Ghirlanda sacra, Venezia 1625), la sua opera consiste infatti in due libri di sonate per diversi strumenti dai frontespizi dei quali è possibile desumere le scarsissime testimonianze biografiche che lo riguardano:
Rimane piuttosto misterioso il fatto che i musicologi che si sono occupati della sua figura non abbiano trovato praticamente traccia della sua biografia e della sua carriera, né in documenti di archivio (atti di battesimo, di morte, volontà testamentarie) né notizie in cronache dell’epoca o in lettere e neppure in pagamenti nei registri della cappella ducale per la quale egli dichiara lavorare. Una povertà di dati che contrasta con il grande valore musicale delle sue sonate che sono di estrema importanza per lo sviluppo della forma della sonata, cosa che dovette essere riconosciuta anche dai suoi contemporanei, a giudicare dalle numerose ristampe dei suoi libri.
Le raccolte comprendono sonate con organici differenti che sembrano ispirati alla ricchezza e alla varietà strumentale della cappella ducale di quegli anni e usano tecniche compositive estremamente sperimentali. Tutte le sonate, ancora composte in un unico movimento, alternano sezioni fortemente contrastanti tra loro nello stile e nei tempi: E’ infatti tra i primi ad usare diffusamente indicazioni di tempo, con una notevole varietà di gradazione: adasio adasio, adasio, alegra, presto, suggerendo effetti di accelerando, di ritardando e prescrivendo improvvise pause generali.
Lo stile presenta sezioni imitatitive, come nelle canzoni strumentali di Andrea e Giovanni Gabrieli e passaggi fortemente ornamentati come nei libri di diminuzioni di Girolamo dalla Casa e Giovanni Bassano, ricche cioè di tutti i mezzi tramite i quali all’epoca si cominciava a distinguere uno stile compositivo prettamente strumentale da quello vocale di mottetti e madrigali. A queste si alternano però sezioni di imitazione vocale, ricche di affetti, ispirate ai dettami alla seconda pratica monteverdiana, dove agli strumentisti è richiesto di imitare quanto più possibile la voce umana.
L’organico previsto va dalle due sonate per strumento acuto e basso continuo (sopran solo) fino alle due sonate per ensemble di archi (stromenti d’arco), passando per varie combinazioni a 2, a 3 e a 4 strumenti solisti accompagnati dal basso continuo.
La destinazione strumentale a volte è generica, lasciata alla volontà dell’interprete (come nelle sonate a due soprani), altre volte è prescritta più tassativamente (come nelle sonate a fagoto e violin), più spesso lascia agli interpreti dei margini di scelta (sonate a sopran e trombon overo violeta, sonate a sopran e fagotto overo viola). C’è dunque la possibilità di utilizzare sia strumenti a fiato (cornetti, flauti, fagotti, tromboni), tipici della tradizione veneziana, sia gli strumenti a corda da braccio, che cominciano in questo periodo a prendere il sopravvento, tanto che si può con buona ragione attribuire a Castello il ruolo di caposcuola nella tradizione violinistica veneziana, che tramite autori quali Giovanni Legrenzi continuerà fino alle importanti produzioni del secolo successivo. (M. R. S.)
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L’Ensemble della Scuola di Musica Antica di Venezia diretto da Marco Rosa Salva in concerto nella sala dell’Ateneo Veneto con i magnifici dipinti di Palma il Giovane in un programma interamente dedicato a Dario Castello in occasione della prima edizione del Festival di Musica Barocca del Venetian Center for Baroque Music intitolata Il Risveglio degli affetti.