Continua la rubrica di Giovanna Natalini dedicata alle edizioni discografiche
«Bellezza barbarica»: non è una definizione banale da comprendere, soprattutto in questi anni. Se è già difficile definire cosa sia la bellezza, definire il barbarico non è da meno.
In senso stretto barbarico si riferisce a tutto ciò che deriva dalle invasioni barbariche; in senso lato a tutto ciò che è diverso, che è «altro». Questo è facile a dirsi, ma nella nostra vita quotidiana siamo abituati ad un flusso continuo di musiche di ogni genere. Definire cosa sia «altro» non è più così evidente. Dalla radio, dalle nostre playlist escono musiche di ogni epoca, di ogni luogo.
Sembra paradossale, ma pensiamo di essere «aperti» a ogni musica, di «ascoltare» ogni musica, di «capire» ogni musica, eppure nei fatti passiamo tutte queste musiche in un grande, metaforico tritacarne, per cui diventano tutte simili e tutte ugualmente componenti di uno stesso polpettone. Non sviene più nessuno per l’uso di una dissonanza ardita; non pone più problemi l’uso del temperamento equabile; non sobbalza più nessuno sulla sedia, se un concerto per pianoforte e orchestra inizia con un solo dello strumento, e nemmeno se l’esecuzione prevede la distruzione dello strumento in scena. Insomma, ai nostri giorni è difficile che qualcuno si sorprenda di qualcosa, che consideri qualcosa «barbarico». Nel bene e nel male, ne sia infastidito o ne sia affascinato.
Questo cd dal titolo Barbarian Beauty proposto da Il Suonar Parlante Orchestra e diretto da Vittorio Ghielmi per l’etichetta Passacaille, si offre come un interessante esercizio di ascolto.
Bisogna rilassarsi, spazzare via dalle orecchie tutta la moltitudine di suoni che ornano la nostra esistenza, cercare di indossare le orecchie di una persona che vive in Europa, a corte, tra il Seicento e il Settecento. Il cd prende spunto dal racconto di un viaggio fatto da Telemann nel 1704 a Plesse, un’area della Slesia. Questo è quanto riporta il compositore nella sua autobiografia:
Quando la corte si mosse a Plesse, venni a conoscenza, come poi anche a Cracovia, della musica Polacca e dell’Hanà, nella sua vera, barbarica bellezza. Nelle comuni osterie gli strumenti usati sono il violino legato al corpo, intonato una terza sopra e molto più «strillante» di un normale violino, una cornamusa polacca, un trombone basso e un portativo. È impossibile descrivere le fantastiche idee musicali che questi musicisti presentano tra una danza e l’altra mentre i danzatori riposano… Chiunque vi ponga la giusta attenzione potrà in otto giorni ricavarvi idee musicali per il resto della sua vita …. .
In queste parole non troviamo niente di simile a quello che poi, anni dopo, saranno gli studi etnomusicologici; ma c’è una vera fascinazione per qualcosa di davvero diverso, per una musica «selvaggia» e piena di vita. Una fascinazione che il compositore cercò di portare nelle sue proposte musicali. Infatti lui stesso scriverà:
In seguito composi numerosi trii e concerti in questa maniera, travestendola alla moda italiana.
Calza bene la metafora del vestito di taglio italo-francese, ma di stoffa boemo-polacca. Nelle sue musiche, create per la corte, troveremo, quindi, le influenze di stilemi di altre aree geografiche, ma anche di derivazione popolare.
Aspetti che questa esecuzione mette in luce.
Immette nel tradizionale organico dei concerti barocchi il cymbalon, uno strumento a corde percosse diffuso nell’Europa orientale, soprattutto nella musica popolare delle zone rurali. Il suo timbro è tra il pianoforte e la chitarra e arricchisce in maniera davvero particolare la tradizionale orchestra dell’epoca.

A suonarlo è Marcel Comendant, cresciuto suonando con musicisti gitani e artisti di strada, buon jazzista e qui alle prese con il barocco, che interpreta con freschezza e vitalità a volte estranee ai musicisti iper-filologici.Ne esce un’esecuzione travolgente, dove l’eco della musica fortemente legata alla danza, l’improvvisazione virtuosistica nelle ornamentazioni, l’accordatura con un diapason particolarmente alto, che rende il suono più brillante e duttile, trascinano sia esecutori sia ascoltatori.
Tornando all’esercizio di ascolto: se si ascoltano queste musiche con orecchie non troppo «inquinate», se ne apprezzeranno molto di più la spontaneità dell’esecuzione, il senso di libertà che la pervade, la fascinazione per il «barbarico» che il compositore cerca di infondere nella musica a beneficio di chiunque l’ascolti. È un esercizio che vale la pena fare, per sottrarre al tritacarne non solo la musica di Telemann, ma anche le nostre stesse orecchie. (G.N.)
Barbarian Beauty – Concertos for viola da gamba. Il Suonar Parlante Orchestra – Vittorio Ghielmi. CD Passacaille 972